Ricerca della Bicocca: con l'inquinamento a rischio gli orsi ma anche le popolazioni delle zone artiche

L'Università di Milano Bicocca ha pubblicato su una delle più prestigiose riviste in ambito mondiale del settore eco-tossicologia i risultati di una sua ricerca. Evidenziando che con l'inquinamento sta scomparendo l'orso polare, ma è a rischio anche la popolazione delle zone artiche

Che l’ambiente fosse malato purtroppo è cosa risaputa. Ma a convalidare questa brutta notizia è arrivata adesso una nuova triste scoperta fatta dai ricercatori dell’Università Milano-Bicocca: gli agenti inquinanti minacciano la salute degli cuccioli di orso polare.

 I risultati della ricerca sono molto preoccupanti e sono stati pubblicati sulla rivista “Environmental Toxicology and Chemistry”, una delle più importanti a livello mondiale nei settori dell’eco-tossicologia e della chimica ambientale.

Questi inquinanti si accumulano nei grassi e il latte della mamma orso (che è particolarmente grasso) ne contiene in grandi quantità, con minacce elevatissime per la salute dei dolcissimi esemplari, almeno mille volte superiori rispetto alla soglia di rischio.

Gli inquinanti organici persistenti o POP (in inglese, Persistent Organic Pollutants) sono sostanze chimiche resistenti alla decomposizione in grado di essere trasportate a grandi distanze e di persistere nel tempo anche per decenni.

Queste sostanze inquinanti tendono a spostarsi soprattutto verso le aree più fredde e si depositano nei ghiacciai di montagna. Determinando gravi alterazioni del sistema endocrino, riproduttivo e dello sviluppo degli animali che vivono in quelle zone. I primi casi, purtroppo, sono già realtà con un aumento di orsi ermafroditi, con percentuali maggiori rispetto ad altre specie.

Alcuni POP è da anni che sono noti e indicati come tra i più pericolosi a livello mondiale e per combatterli negli anni Settanta è nata la Convenzione di Stoccolma, alla quale hanno aderito quasi tutti gli Stati con un costante aggiornamento e messa al bando delle sostanze pericolose.

Se l’uso di sostanze come DDT e PCB è bandito o limitato da decenni, per altri POP gli interventi risalgono a pochi anni fa, come per il perfluoro ottano sulfonato, noto con l’acronimo PFOS. Per altri ancora il controllo, oggi, non è ancora attivo.

La novità sostanziale di questa ricerca consiste nel fatto di fornire una valutazione del rischio complessivo rappresentato dalla miscela di queste sostanze nocive, di individuare i più pericolosi fra i suoi componenti e ricostruire l’evoluzione storica del rischio dagli anni Settanta ad oggi. Il rischio legato a sostanze diffuse in grandi quantità in passato ma controllate da tempo (come DDT e PCB), seppur ancora alto, è sensibilmente diminuito. Ma la composizione dei POP è mutata negli anni e il contributo dei “nuovi” inquinanti (come il PFOS), ancora inadeguatamente limitati, è in aumento.

Secondo gli studiosi queste sostanze hanno un impatto anche sulla salute umana come nella popolazione degli Inuit, esposto in passato ad un rischio paragonabile a quello stimato per gli orsi polari.

Negli ultimi anni, la situazione è migliorata grazie a un radicale cambiamento degli stili di vita e ad una alimentazione non più basata sui prodotti della caccia e della pesca locali, ma dipendente in buona parte dalla distribuzione globalizzata.

"Questo lavoro è il primo tentativo di quantificare il rischio complessivo dei POP per l'ecosistema artico – ha detto Sara Villa, ricercatrice di Eco-tossicologia all’Università di Milano-Bicocca – e di definire una classifica al fine di evidenziare le sostanze chimiche più pericolose nella miscela".

"I risultati dimostrano che le misure di controllo internazionali sono efficaci nel ridurre il rischio per gli ecosistemi – ha aggiunto Marco Vighi, Principal Investigator presso l’IMDEA Water Institute, già docente dell’Ateneo milanese – tuttavia è fondamentale estendere l’applicazione della Convenzione di Stoccolma ai POP esistenti non ancora controllati e ai “nuovi” contaminanti di recente o futura produzione".


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