Le burocrazia che soffoca: le piccole e medie imprese rischiano fino a 111 controlli all'anno

Il dato è più che allarmante: le piccole e medie imprese in Italia possono rischiare fino a 111 controlli all'anno, uno ogni tre giorni. Naturalmente anche in funzione del settore di attività. Lo rivela l'Ufficio studi della Cgia di Mestre che invoca uno snellimento della burocrazia

Vedere una persona che supera la porta d'ingresso, per il titolare di una piccola media impresa dovrebbe essere sempre motivo di soddisfazione e di speranza: un affare che si conclude fa sempre tirare il fiato, soprattutto in questo tempo di crisi. Purtroppo non è sempre così: per ben 111 volte in un anno, ovvero una ogni tre giorni, la porta che si apre potrebbe corrispondere a un controllo ispettivo da parte dello Stato. E' il dato impressionante rivelato dall'accreditato Ufficio studi della Cgia di Mestre, specializzato in questi lavori di analisi dedicati alle piccole e medie imprese, che mette in risalto l'eccessiva burocrazia.

Una quantità che, naturalmente, è teorica. Nel senso che non riguarda tutte le imprese indistintamente e non è detto che accada realmente. Ma il rischio c'è davvero. E, dato allarmante, la situazione è addirittura peggiorata rispetto a tre anni fa. Nonostante il numero dei controllori sia rimasto pressoché lo stesso, le possibili ispezioni, invece, sono aumentate di 14 unità.

L’elaborazione della CGIA è iniziata suddividendo il quadro legislativo generale in quattro grandi settori, dopodiché per ciascuno di essi è stato conteggiato il numero dei possibili controlli che un’attività produttiva può incorrere e gli enti deputati all’attività ispettiva. In estrema sintesi: 
- Ambiente e sicurezza nei luoghi di lavoro. Quest’area è la più a “rischio”: è interessata da 56 possibili controlli che possono essere effettuati da 10 enti ed istituti diversi;
- Fisco. In questo ambito il numero dei controlli è pari a 26 e sono 6 le agenzie e gli enti coinvolti;
- Contrattualistica. Nell’area lavoro il numero dei possibili controlli si attesta a 21, mentre gli istituti e le agenzie interessate sono 4;
- Amministrativa. Questo settore registra 8 controlli che sono ad
appannaggio di 3 diversi enti ed istituti.

“Con una legislazione farraginosa e spesso indecifrabile – afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi - qualsiasi imprenditore, soprattutto se piccolo, corre il pericolo di non essere mai a norma. Pertanto, l’eventuale ispezione da parte dell’ente pubblico viene vissuta come un incubo, come una calamità da evitare assolutamente. Per superare questa impasse non ci resta che sforbiciare il quadro normativo, rendendo più semplici e comprensibili le leggi, le circolari e i regolamenti attuativi. Altrimenti la forte discrezionalità che tutt’oggi beneficiano coloro che sono chiamati ad eseguire le attività ispettive rimarrà inalterata. Nel contempo, infine, va aumentata la platea dei controlli formali, cioè quelli eseguiti automaticamente per via telematica, alleggerendo così l’oppressione burocratica che grava sulle imprese”.

Il settore a più alta “densità” di potenziali controlli è quello dell’ambiente e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Le voci più a “rischio” riguardano la conformità e mantenimento dell’ efficienza degli impianti (elettrici, idrici, gas, etc.) e il rispetto delle norme antincendio. In entrambi i casi sono 6 diversi enti che hanno specifiche competenze in materia di controllo. Nel primo caso possono intervenire l’Asl, l’Inail, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, i Vigili del Fuoco, Nas e/o Noe e/o eventuale Capitaneria di Porto e il Comune/Polizia municipale. Nel secondo caso, invece, l’Asl, la Direzione territoriale del lavoro, l’Inail, i Vigili del Fuoco, Nas e/o Noe e/o Capitaneria di Porto e il Comune/Polizia municipale.

Altrettanto “impegnative” sono le voci riferite alle autorizzazioni agli scarichi, alle emissioni in atmosfera, alla gestione dei rifiuti e al rispetto degli obblighi di verifica delle attrezzature di lavoro.

“I tempi e i costi della burocrazia – afferma il segretario della CGIA Renato Mason – sono diventati una patologia che caratterizza negativamente il nostro Paese. Non è un caso che molti operatori stranieri non investano da noi proprio per l’eccessiva ridondanza del nostro sistema burocratico. Incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza giuridica e adempimenti troppo onerosi hanno generato un velo di sfiducia tra imprese e Pubblica amministrazione che non sarà facile rimuovere in tempi ragionevolmente brevi”.

La CGIA ricorda che secondo un’ indagine realizzata da PROMO PA Fondazione, l’81 per cento delle imprese con meno di 50 addetti, vale a dire le piccole, è costretto a ricorrere a consulenti esterni per fronteggiare questo nemico invisibile: ovvero la cattiva burocrazia; di cui il 70 per cento ad integrazione o a supporto del lavoro svolto dagli uffici amministrativi che operano all’interno dell’azienda, mentre l’altro 11 per cento si affida a terzi per tutte le incombenze.

E’ evidente che se non si mette definitivamente mano a quel labirinto inestricabile di leggi, decreti e circolari varie che rendono la vita impossibile a milioni di piccoli imprenditori, corriamo il pericolo di soffocare la parte più importante della nostra economia. Più in generale, abbiamo sempre più bisogno di una Pubblica amministrazione più snella e più efficiente. In questi ultimi anni, invece, il costo della burocrazia che grava sul sistema produttivo delle Pmi ha superato, secondo gli ultimi dati elaborati della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i 30 miliardi di euro l’anno: praticamente quasi 2 punti di Pil. Questa situazione ha costretto moltissime aziende a trascurare il proprio business per occupare gran parte del tempo alla compilazione di certificati, moduli e istanze varie: un’anomalia che deve essere assolutamente rimossa per rilanciare il nostro Paese.


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